Una ricerca che ha tenuto con il fiato sospeso, purtroppo finita in tragedia. Cinzia Pinna, la verità grazie alle telecamere.
Una collega è l’ultima persona ad aver vista viva Cinzia Pinna. Erano entrambe al “Bianco e Rosso” di Palau, lavoravano come cameriere in quell’hotel. “Cinzia era una brava collega ma quando beveva perdeva la testa. Urlava, si agitava” racconta la donna, “Quella sera dell’11 settembre avevamo finito alle 23 il nostro turno. Le avevo detto che uscivo con i colleghi, mi aveva detto che pure lei sarebbe andata fuori“. Alle 2 del mattino la collega va via con gli amici, Cinzia resta.

“Me ne rammarico”, racconta la collega, ripercorrendo quell’istante che adesso pesa come un indizio. Non si parla più di scomparsa volontaria o fuga: il corpo di Cinzia è stato ritrovato dopo 14 giorni, nascosto nella tenuta dell’imprenditore Emanuele Ragnedda, che ha confessato l’omicidio. Da quel momento, ogni parola passa sotto la lente di ingrandimento. Ragnedda ha varcato le mura della caserma davanti a giudice e inquirenti. Ha ammesso: “L’ho uccisa io”, una confessione che scuote chiunque la ascolti.
Cinzia Pinna, la ricostruzione di ciò che è successo
Ma la versione di Ragnedda? Piene di “non ricordo”, pause, lacune che lasciano spazio a dubbi. Parla di un litigio, di una tensione che sembra essersi consumata tra alcol, confusione e sentimenti esasperati. Dice che le condizioni psicofisiche di entrambi erano alterate. Il racconto è vago.
Nel mentre, emergono altri tasselli. Un giovane milanese di 26 anni era stato tirato in ballo da Ragnedda, inizialmente sospettato di occultamento del cadavere. Poi le indagini hanno escluso il suo coinvolgimento diretto, ma la sua figura rimane parte della vicenda che gli inquirenti stanno cercando di ricomporre.

La tenuta agricola Conca Entosa, nel cuore delle campagne tra Arzachena e Palau, è diventata teatro drammatico di una tragica vicenda. È lì che è stato nascosto il corpo, è lì che i carabinieri del RIS hanno trovato tracce di sangue sul divano e su altri oggetti. È lì che si mescolano vino, polvere, impronte, segni che tentano di ricostruire l’ultimo percorso di Cinzia.
Ragnedda, la cui famiglia è nota per la produzione vinicola, era diventato celebre per aver messo in circolazione un Vermentino venduto a cifre da record. Ma ora quella fama si intreccia con il crimine, con un omicidio che non ammette leggerezze.
Quello che resta da chiarire è il movente. Non basta una lite per trasformarsi in dramma. Le domande si moltiplicano: cosa ha fatto partire quell’escalation? Quali parole non dette, quale gelosia, quale minaccia invisibile si è insinuata tra di loro? Le dichiarazioni di Ragnedda, offrono più zone d’ombra che risposte.
La fuga tentata in gommone, lo schianto contro gli scogli, l’arresto. “Mi sono dovuto difendere”, avrebbe detto, una verità che fatica a reggere davanti alla realtà che emerge.
Mentre la famiglia Pinna si prepara al riconoscimento ufficiale del cadavere, tutti gli occhi sono puntati sulle ricostruzioni. Ogni testimonianza, ogni messaggio sparito, ogni telecamera che ha colto qualsiasi movimento diventa parte di un puzzle che deve essere risolto. E sono proprio le telecamere che forniscono un tassello importante. Infatti la notte della scomparsa di Cinzia, c’è un video che la ritrae barcollante, probabilmente ubriaca e si vede un’auto che le si avvicina e lei sale a bordo. Emerge che grazie alla targa, si è scoperto chi fosse il proprietario del veicolo: Ragnedda.
Le indagini vanno avanti, coordinate dalla Procura di Tempio Pausania, sotto lo sguardo attento della pubblica opinione che ne reclama la risoluzione.