Paupisi, parla Mario Ocone figlio maggiore della famiglia: “Volevo bene a papà ma non lo perdono. Se ci fossi stato io tutto questo non sarebbe successo”.
Nella quiete di Paupisi, provincia di Benevento, una violenza inaudita ha infranto la quotidianità di un’intera famiglia. Elisa Polcino è stata uccisa a colpi di pietra, martedì 30 settembre all’alba. Con lei è morto anche Cosimo, il figlio quindicenne, mentre la figlia sedicenne Antonia giace in ospedale, in condizioni gravissime. Quel gesto spaventoso appartiene a chi li avrebbe dovuti proteggere: il marito, padre dei ragazzi, Salvatore Ocone.

L’altro figlio, Mario, 23 anni, lavorava lontano da casa, a Rimini. Tornato con urgenza, oggi non sa se piangere la madre e il fratello, se pregare per la sorella o se cercare di capire l’inspiegabile. Davanti alla tragedia, resta il senso di colpa che brucia: “Sono sicuro che se ci fossi stato io tutto questo non sarebbe successo”, riporta il Corriere Della Sera.
Mario Ocone, le parole del figlio maggiore di Elisa Polcino
Mario non può accettare la narrazione che dipinge la sua famiglia come una casa avvelenata. È convinto che non ci fossero segnali allarmanti: litigi normali, momenti di tensione, sì. Ma nulla che facesse presagire un esito simile. Di suo padre dice: “So che soffriva, che era seguito, che assumeva cure”, ma aggiunge con fermezza che mai avrebbe pensato che quella sofferenza potesse trasformarsi in violenza omicida.
Rifiuta l’immagine di una casa malata. Ora, mentre attende notizie sulla salute della sorella, Mario rimane al suo fianco. Antonia è stata sottoposta a un intervento complesso, è in coma farmacologico: la priorità è che respiri.

Per lui non c’è perdono: quando gli chiedono se potrà mai perdonare il padre, risponde: “No. Probabilmente no.” Davanti agli inquirenti, Ocone ha raccontato una versione drammatica: avrebbe agito contro la moglie perché sarebbe stata “autoritaria e aggressiva”. Parole che hanno un peso terribile, che cercano di giustificare l’ingiustificabile. Ma Mario replica con forza le sue accuse, mettendo in dubbio la credibilità del gesto.
Gli atti processuali rivelano una storia più complessa: Ocone era già stato diagnosticato con una psicosi cronica, e in passato (nel 2011) era stato sottoposto a Tso. Quel quadro clinico era noto alle autorità, ma nessuno sospettava che potesse tradursi in una tragedia così estrema.
Le indagini continuano e la comunità, sgomenta, pretende risposte. Ogni parola, ogni testimonianza, ogni documentazione medica può aprire spazi di verità che oggi sembrano negati. Dove finisce la malattia e dove comincia la responsabilità? Le vite spezzate di Elisa e Cosimo chiedono giustizia. La sofferenza di Antonia reclama almeno la speranza. Una tragedia che ha scosso non solo la comunità, ma l’Italia intera che ora prega perchè almeno la vita della sedicenne venga risparmiata.